Circa un mese fa sono riuscita a partorire (giusto per stare in tema ostetrico) un’idea che finalmente mi ha fatto dire “Wow!”. Scelgo la parola partorire perché questa idea è stata preceduta da pensieri confusi e un travaglio meditativo non indifferente, fino a che, in un pomeriggio piovoso di una domenica, sono riuscita a prendere un quaderno bianco, suddividerlo in blocchi e ho cominciato a strutturare quello che avevo pensato.
Ho finito il momento di flusso creativo con un gran senso di vittoria e soddisfazione, ripetendomi compiaciuta che con la struttura sostanzialmente pronta dovevo “solo” trovare il tempo per produrre il contenuto dei vari blocchi. Così ho iniziato a portare con me il prezioso quadernone in ogni dove, sperando di poter ritagliare qua e là qualche decina di minuti per lavorare. Quest’ultimo mese è stato veramente intenso ed impegnativo. Avevo già deciso di dare priorità ai miei appuntamenti con le mamme e ai corsi e, allo stesso tempo, di non sottrarre del tempo ai nostri momenti in famiglia.
Il quaderno è rimasto sempre nella borsa, non sono mai riuscita a tirarlo fuori. Mai.
Ogni giorno in cui non riuscivo a tirare fuori il quaderno sentivo crescere in me la frustrazione di non vedere nessun progresso. Non è cresciuta solo la frustrazione, ma, in un certo senso, anche il senso di fallimento.
Arriva un tempo per ogni cosa, mi ripeto.
Martedì mattina di questa settimana avrei finalmente avuto sei lussuosissime ore di lavoro non-stop finalmente tutte solo per me. Dopo più di tre settimane di attesa. Mi ero già preparata il lavoro, suddiviso il tempo per poter fare tutto al massimo delle possibilità. Ero pronta.
Breve storia triste.
La notte tra lunedì e martedì è venuta la febbre a Lucia.
Proprio quel giorno non c’erano nonni o altri aiuti per tenerla per quel tempo.

Fine.
Ho passato le mie tanto sospirate sei ore di lavoro tutto per me con in braccio una quasi duenne dormiente o impegnata in attività “koala”. Le ho passate a rosicare dentro, parecchio.
Ad implodere e a lamentarmi con me stessa e nei confronti del caro vecchio Murphy.
Dal primo pomeriggio, finite le sei ore, Lucia era rinata, perfettamente senza febbre e pronta a giocare e fare tutto quello che dovevamo fare nel pomeriggio.
Alla sera mi sono chiesta come voglio continuare a vivere le prossime settimane.
Nel continuo affanno del non riuscire, nella sensazione di fallire ad un proposito, con tutto il resto che scorre attorno, che mi passa a fianco finché io rimango incastrata nei miei piccoli pensieri? No, direi di no.
Come per un bimbo che impara a camminare, c’è un tempo per ogni cosa, non possiamo forzarlo a camminare se non è pronto. Come per i ritmi del sonno dei piccoli, lo svezzzamento, lo spannolinamento, le evoluzioni e i passaggi di crescita, noi possiamo e dobbiamo accompagnare, ma è decisamente tutto più fluido se seguiamo i tempi giusti al posto di intestardirci a forzare o imporre.
Ripeto sempre alle mamme di stare nel momento del proprio bimbo, di concedersi il tempo per osservarlo, conoscerlo, affiancarlo nella crescita. Oggi cerco di ricordarlo a me stessa.
Nella mia irrealistica e fantasiosa ideazione oggi avrei dovuto essere qui a presentarvi un’anticipazione di questo nuovo fighissimo progetto.
Invece no.
Ho un quaderno scritto per un po’, file nel computer ancora da strutturare e un seme che è appena stato piantato. Oggi ricordo a me stessa che il seme ha bisogno di cura ed attesa, ha bisogno del silenzio della terra e, quando sarà il momento giusto, farà capolino.

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